L’uomo cammina con
sicurezza tra le rovine, ora nascoste nell’oscurità, ora dipinte
di blu, quasi mosse da spirito vitale, attraverso la roccia nuda.
Eccolo, il ponte, e lì, sugli scalini, il giocattolo. La vista
improvvisa della vampira lo fa trasalire, appena prima della rapida
fuga. Ovunque volga lo sguardo, o diriga la posizione, le quattro
figure femminili, simili a fantasmi, sembrano anticipare ogni sua
decisione.
Lèvres de
sang, pellicola del 1974 di Jean Rollin, rappresenta,
secondo un parere pressoché concorde, uno dei titoli migliori
all’interno della filmografia del prolifico regista francese. La
descrizione sopra citata ritrae probabilmente gli elementi più
espliciti dell’elaborazione intellettuale di Rollin, sensibilmente
affascinato dal tema del vampirismo e dalla caratterizzazione
pittorica del contesto ambientale.
Sarà utile iniziare
l’analisi testuale dallo studio delle componenti principali di un
film: il colore, lo spazio, il sonoro.
Dal punto di vista
dell’immagine, essa trova sicura corrispondenza con l’attenzione
maggiore di Rollin, poco incline a perdere tempo con la stesura di
una sceneggiatura coerente e verosimile, in favore dell’interesse
quasi totale nei confronti dell’atmosfera da sviluppare, in termini
indipendenti dalla logica, piuttosto fortemente legata alla sfera
delle sensazioni. La resa visiva coincide con la rinuncia alla
rielaborazione realistica, appena accennata in brevi circostanze, ma
presto mortificata per lasciare ampia possibilità di espressione al
clima onirico che domina il racconto.
Sono in effetti pochi i
momenti riconducibili alla realtà ordinaria (il party iniziale, lo
studio della fotografa, il dialogo con la madre), in ogni caso sempre
compromessa da impressioni ambigue o da segnali inquietanti.
Rollin consegna al
colore il compito di assecondare la propria idea di figurazione
fantastica, pitturando lo schermo con scelte cromatiche affini alla
memoria oggettiva, eppure modificate attraverso alterazioni
ingannevoli, talvolta impercettibili. La rappresentazione delle
rovine è ideale in questo senso: la pietra emerge dall’oscurità,
improvvisamente, rilasciando porzioni di roccia, tinteggiate di un
cobalto, tanto suggestivo, quanto irreale. E proprio il blu
costituisce la tonalità che Rollin affida al sogno, dimensione
inafferrabile, difficilmente distinguibile dalla verità; mentre la
notte garantisce la condizione visiva affinché tale ambito
allucinatorio abbia i necessari requisiti per manifestarsi.
Gli ambienti presenti nel
film sostengono questa situazione, esplicitando più incisivamente il
quadro illusorio attraverso gli spazi aperti. Oltre alle rovine,
forse già dotate di respiro fiabesco per la configurazione
strettamente connessa alla natura circostante, i contesti urbani,
ipoteticamente consueti, diventano sfondo simbolico della concezione
della messa in scena di Rollin. Quando il protagonista segue la
misteriosa donna dal volto dipinto, le strade sono deserte, i palazzi
ingrigiti e spenti non sembrano nascondere presenza umana, le rare e
pallide luci dei lampioni non assolvono certo alla funzione
originaria. Nella sequenza dell’aggressione da parte dell’uomo
della metropolitana, lo spazio, nella propria immensità, sottolinea
impietosamente il ruolo irrilevante e solitario della persona, intesa
come impercettibile entità all’interno di una tela metafisica di
piatte quinte teatrali.
La spiaggia, luogo che
ricorre nella filmografia di Rollin, chiude sia testualmente che
simbolicamente la storia. Il paesaggio livido, l’acqua di color
pervinca, confondendosi con il cielo, accompagnano la bara di legno
in mare aperto, accogliendo idealmente l’ammissibilità del sogno,
al tempo stesso rivelato e avverabile.
Si è così investiti
dalla particolarità delle immagini e delle ambientazioni che la
componente sonora pare quasi trascurabile. In effetti, il suono è
l’elemento più debole, meno presente, ma in modo consapevole.
Rollin consegna l’azione di intervento sul pubblico alla vista,
tralasciando volutamente di rimettere un peso maggiore all’acustica;
questo, in ordine sempre dell’atmosfera onirica che investe il
film: il sogno è fatto di forme, lineamenti, icone, mai di rumore,
musica, voce.
Gli unici interventi
sonori sono i dialoghi (la parte più fragile della pellicola), la
musica, anche piuttosto banale che accompagna le situazioni, i rumori
intradiegetici, soprattutto il vento e l’acqua.
Sarà opportuno esprimere
un commento anche sulla figura del vampiro. Lèvres de
sang mostra giovani donne vampire, che hanno molto poco di
terrorizzante, a favore di una fisicità sensuale e inquietante. I
corpi, fasciati, spesso scoperti, da evanescenti vesti, la nudità
esposta, la silenziosa quanto occultata spietatezza non indicano
brutalità e ferocia, bensì enigmaticità ed erotismo, a tratti
persino irritante. Più interessante si rivela la decisione cosciente
del protagonista e l’operazione di contagio, simbolicamente
trasmesso tramite via sessuale, in termini comunque affatto carnali,
ma decisamente languidi, al limite del sentimentalismo.
Le aggressioni da parte
delle vampire proseguono la linea dello spiritualismo. Gli omicidi
sono rapidi, le grida delle vittime appena accennate, quindi
immediatamente strozzate. Gli effetti della morte non sono visibili,
se non attraverso un rivolo di sangue, che fuoriesce dalla bocca o
dalla ferita, quale sorta di arabesco artistico, allegoricamente
associato al vampirismo. I delitti si presentano come manifestazioni
speculari della concezione immateriale che sta alla base dello
stesso trascendente profilo del vampiro.
Lèvres de
sang è prodotto di un cinema che guarda al surrealismo
come ad una dottrina alla quale riferire le proprie tendenze:
sessualità, inconscio, confusione tra sogno e veglia, amore folle,
sono tutti elementi che si riconoscono all’opera di Rollin, così
come ad altri registi, più conosciuti e di valore senza dubbio
maggiore. La memoria manipolata di Cronenberg; la desolante,
inconcepibile bellezza degli scenari, e l’oscura indeterminatezza
di Lynch; il colore come metafora visiva, e l’illusione inventiva
di Argento, rappresentano illustri esempi che si stenta a reprimere
durante la visione di Lèvres de sang,
ritratto automatico, nato dal primo, essenziale, impulso di Rollin:
il sogno.