mercoledì 1 giugno 2016

FILMOGRAFIA




1952-1957 Mechanographie (cortometraggio, documentario)
1952-1957 La guerre de silence (cortometraggio, documentario)

1958 Les amours jaunes (cortometraggio)
1961 Ciel de cuivre (cortometraggio)
1962 Un cheval pour deux (aiuto regista non accreditato, cortometraggio di Jean-Mark Thimbauld)
1963 L'itinéraire marin (mediometraggio)
1964 Vivre en Espagne (cortometraggio, documentario)
1965 Les pays loin (cortometraggio)

1968 Le viol du vampire
1970 La vampira nuda – La vampire nue
1971 Vierges et vampires
1971 Violenza ad una vergine nella terra dei morti viventi – Le frisson des vampires
1973 Jeunes filles impudiques
1973 La rose de fer
1973 I desideri erotici di Christine – Christina, princesse de l’érotisme (di Jesus Franco, Rollin ne dirige una sequenza)
1974 Schiave del piacere – Tout el monde il en a deux
1974 L’isola delle demoniache – Les démoniaques
1975 Phantasmes
1975 Lèvres de sang
1976 Douces pénétrations
1976 La comtesse de Ixe
1976 Amours Collectives (di Jean-Pierre Bouyxou, su soggetto e sceneggiatura di Jean Rollin che há partecipato anche alle riprese)
1976 Apotheose Porno (di Jean-Marie Ghanassia, Jean Rollin há partecipato come supervisore alla regia)
1977 Saute-moi dessus
1977 Hard Penetration
1978 Remplissez-moi... les 3 trous
1978 Le piccolo collegiali – Petites pensionnaires impudiques
1978 Lèvres entrouvertes
1978 Hyperpénétrations
1978 Les Raisins de la mort
1978 Disco Sex – Discosex
1979 Fascination
1979 Gamines em chaleur
1979 Bouches lascives et pornos
1979 Pénétrations vicieuses
1979 Mondo cannibale (di Jesus Franco e Franco Prosperi, Jean Rollin firma com Franco la sceneggiatura)
1980 Ragazza in amore – La nuit des traquées
1981 Les paumées du petit matin (riedito come Les Echapés)
1981 Le lac des morts vivants
1982 Reves de sexes
1982 La morte vivante
1983 Apprendiste viziose – Sodomanie
1983 Folies anales
1984 Les trattoirs de Bangkok
1985 Ne prends pas les poulets pour des pigeon
1988 Emmanuelle 6 (di Bruno Zircone, codiretto da Jean Rollin)
1989 Perdues dans New York (Film per la TV)
1990 La griffe d'Horus (Film per la TV)
1991 A la poursuite de Barbara (di Jesus Franco, codiretto da Jean Rollin)
1994 Killing car
1994 Le parfum de Mathilde (di Marc Dorcel, codiretto da Jean Rollin)
1997 Les deux orphelines vampires
2002 L’amante di Dracula – La fiancée de Dracula
2007 La nuit dês horologes
2010 Le masque de la Méduse

BIBLIOGRAFIA




AaVv, Necronomicon, the Journal of Horror and Erotic Cinema, Creation Books, 1996.
Andy Black, Clocks, Seagulls, Romeo and Juliet. Surrealism Rollin style, “Kinoeye” Vol. 2-7, 15 aprile 2002 tratto da Necronomicon, the Journal of Horror and Erotic Cinema, cit.
Andrea Capizzi (a cura di), Jean Rollin: una vita tra le vampire, “Nocturno” dossier n. 1 giugno 2002.
Roberto Curti, Jean Rollin, in Il rasoio e la luna. Guida al cinema surrealista, “Nocturno” Dossier n. 81, Aprile 2009.
Roberto Curti, Tommaso La Selva, Sex and violence. Percorsi nel cinema estremo, Lindau, Torino, 2003, 2007.
Fabio Giovannini, Antonio Tentori, Eros e cinema fantastico, Datanews, Roma, 2004.
Scott Grantham, Night of the Hunted , in Video Watchdog 53, settembre-ottobre 1999.
Phil Hardy, The Aurum Film Encyclopedia, Aurum Press, London, 1984, 1993.
David Kalat, Exorcism end eroticism in French horror cinema: A brief introduction to the world of Jean Rollin, “Kinoeye” Vol. 2-7, 15 aprile 2002.
Simone Regazzoni, Pornofilosofia, Filosofia del pop porno, Ponte alle Grazie, Milano, 2010.
Jean Rollin, Virgins & Vampires, Crippled Library, 1997.
Jean Rollin, MoteurCoupez! Mémories d'un cinéaste Singulier, Editions Elite, Paris, 2008.
Rudy Salvagnini, Jean Rollin: vampire in trasparenza in “Segnocinema” n. 111, settembre-ottobre 2001.
Cathal Tohill, Pete Tombs, Immoral Tales. Sex and Horror in Europe 1956-1984, Titan Books, London, 1995.



VIDEO



Virgins and Vampires: the Films of Jean Rollin, in Eurotika! (1999) documentario tv, stagione 1, episodio 1.
SITI INTERNET



http://requiemforjeanrollin.blogspot.com/ (in inglese)
http://www.imagesjournal.com/issue09/reviews/jeanrollin/ (in inglese)
http://www.shockingimages.com/rollin (in inglese)
http://www.kinoeye.org/archive/director_rollin.php (in inglese)
http://www.stim.com/Stim-x/0796July/Automedia/rollin.html (in inglese)

http://membres.multimania.fr/vampiras/vampiras/rollin.htm (in spagnolo)

lunedì 16 maggio 2016

IL CINEMA HARDCORE DI JEAN ROLLIN di Michele Tosolini


Una carriera parallela nel cinema porno può scioccare o rendere perplessi i fruitori dell'exploitation di Jean Rollin. Il regista ha sempre cercato di scavalcare i generi (con Phantasmes, ad esempio), di mescolarli creando una surreale commistione tra il dramma sullo sfondo, l'orrore e il sesso (con le sue vampire nude). Rollin non solo però riesce a giocare con i generi e le etichette del cinema di serie B, ma innalza l'exploitation con la poesia, la più fredda rappresentazione attoriale viene riversata teatralità della rappresentazione, e ancora semplici oggetti divengono simulacri di significati oscuri e esoterici.
A partire da questo carattere peculiare di Rollin, si può capire come, il passaggio al porno possa essere una facile discesa in languidi territori già facenti parte dei territori espressivi dell'autore.
Mettendo per ora da parte le motivazioni reali, ossia quelle economiche, proviamo a scoprire come hardcore sia una possibilità vicina al cinema di Jean Rollin, e non un genere a sé stante, chiuso, ascritto a modi peculiari della rappresentazione e destinato ad un pubblico altro rispetto a quello del cinema d'autore o del B-cinema.
Il porno nella sua forma rappresentativa non è diverso dall'exploitation, dal cinema autoriale o da quello mainstream, perché nella sua essenza è “fiction”. I detrattori dell'hardcore lo allontanano dai territori del cinema in quanto, affermano, è “puro sesso” di fronte alla telecamera, un vero coito di fronte alla macchina da presa e quindi lontano da ciò che dovrebbe essere l'anima del cinema. Niente di più sbagliato. Il porno non è solo la ripresa di una serie di atti sessuali reali, ma è la rappresentazione di essi: il coito, ad esempio, è “costruito”, nonostante sia vero, e, appunto, è costruito in quel dato modo per essere ripreso. Le posizioni, le diverse posture del corpo sono del tutto innaturali e realizzate ad hoc per essere riprese. Possiamo quindi parlare di porno come di una rappresentazione di una seri di atti sessuali, o ancora meglio, di una serie di atti sessuali recitati, realizzati in un certo modo (espressivo) per essere ripresi.
Ciò non toglie che per il carattere di fruizione (consumo) del porno, questo si presta ad uno sfruttamento economico simile (se non maggiorato) a quello della sexploitation, di cui Rollin ne è protagonista.
Già si è accennato nell'introduzione ad una certa inclinazione dell'exploitation a utilizzare attori e attrici provenienti dai circuiti hardcore. I motivi economici sono senza dubbio da ricercare nelle ristrettezze dei budget di produzione: lavorare con attori del porno è senza dubbio più economico, ma ciò permette anche ai registi e ai produttori di poter consegnare al mercato due pellicole al costo di una aumentando così le possibilità di guadagno. È il caso, ad esempio, di Lèvres de sang, con il quale Jean Rollin confeziona un prodotto X-rated (titolato Suce-moi vampire) aggiungendo alcune sequenze hardcore alla pellicola originale.
Il nudo è sempre una costante del cinema di Jean Rollin, sia che si tratti delle “sue vampire nude”, sia che si tratti della sua cinematografia sexploitation. Nel 1974 dirige sotto lo pseudonimo di Michel Gentil Schiave del piacere (Tout le monde il en a deux) un softcore francese in cui l'amore saffico e le sequenze lesbo non prevedono l'elemento del vampirismo tipico del suo cinema delle vampire. Questa pellicola non aggiunge molto alla produzione costante dell'erotico francese anni '70, ma, alla luce della filmografia del regista, ci illumina l'amore carnale tra due donne come un'ossessione tipica rolliniana, e un piccolo passo verso le successive pellicole hard. Con l'aggiunta di alcune sequenze hard, e ribattezzato Bacchanales sexuelles, Schiave del piacere fu un piccolo successo al botteghino delle sale a luci rosse.
Nella sua autobiografia Rollin racconta che in una scena di nudo del film Jeunes filles impudiques (1973) resa particolarmente difficile dalla virilità poco celabile del protagonista maschile, complice l'attrice Gilda Arancio, la troupe si trovò di fronte un amplesso tutt'altro che simulato.1
A metà degli anni '70, tuttavia, le difficoltà economiche di Rollin lo spingono a girare film porno tout-court: Ho diretto X-rated film per guadagnare qualcosa per vivere afferma il regista in una recente intervista – Non amo quei film ma dirigerli è stato divertente. Ricordo quel periodo con piacere, mi piacevano le persone con cui lavoravo e si girava per uno o due giorni al massimo... era molto divertente, c'era sempre una piacevole atmosfera. Ma non sono film interessanti, è tutto ciò che posso dire.2
L'ultimo tentativo di cercare una certa autorialità in una produzione non dichiaratamente hardcore (ma lo è) è Phantasmes dove, a differenza dei precedenti softcore e successivi porno, non utilizza alcun pseudonimo (lo troviamo addirittura in un piccolo cameo nella parte di uno stupratore). La commistione dei generi – fantastico, horror, gotico, erotico, pornografico – rende difficile incasellare il film in un'etichetta precisa, che forse non potrebbe essere che “rollinade”. Il film racconta la storia di Amy, una ragazza virginale che, dopo essere sfuggita ad un tentativo di stupro, si ritrova in un castello (tipica ambientazione rolliniana) in cui un incontra un vedovo apparentemente innocente ma che si rivela gran cerimoniere di riti sadiani e orge bondage.
Dopo Phantasmes Jean Rollin si dedica (utilizzando lo pseudonimo di Michel Gentil e Robert Xavier) ad una ricca produzione di film porno, per nulla autoriali, ma che gli permettono, dalla fine degli anni '70 di girare nuovamente pellicole non hard.
Tra la metà e la fine degli anni '70 Rollin gira quattordici porno: Douces pénétrations e La comtesse Ixe nel 1976; Saute-moi dessus, Hard Penetration, Vibrazioni, Positions danoises nel 1977; Remplissez-moi... les 3 trous, Le piccole collegiali (Petites pensionnaires impudiques, Lèvres entroverses, Hyperpénétrations, Disco Sex (Discosex) nel 1978; Gamines in chaleur, Bouches lascives et pornos, Pénétrations viceuses nel 1979. Dopo una piccola parentesi all'inizio degli anni 80 in cui si dedica ai suoi film sui morti viventi, Rollin ritorna al porno con Rêves de sexe nel 1982, mentre l'anno successivo gira Apprendiste viziose (Sodomanie) e Folies anales. Nel 1994 scrive una sceneggiatura porno (Le parfum de Mathilde) per Marc Dorcel, noto produttore di film porno.3
Dopo la parentesi porno, Rollin giunge alla fine degli anni '70 con una nuova coscienza d'autore: lasciatosi alle spalle i libertinaggi da camera da presa delle vampire nude, il suo cinema appare più languido, ancorato ancor più a immagini chiave che nascondono il potere del ricordo e del rimorso. E se pellicole come Les raisins de la mort (1978) Fascination (1979) e La morte vivante (1982) sono tra le sue riuscite migliori, spesso tradiscono la necessità di imbrigliare le pulsioni dell'inconscio (Fascination nasce da due accostamenti inconsueti: la pornodiva Brigitte Lahaie vestita in abiti inizio '900 e due dame dell'alta società che bevono sangue come rosolio in un mattatoio) all'interno di canovacci di genere.4




1 Jean Rollin, MoteurCoupez!, Cit., p. 146.
2 Andy Black, Clocks, Seagulls, Romeo and Juliet, Cit.
3 Pur non essendo accreditato come regista, il film sembra essere codiretto da Rollin e Dorcel.
4 Roberto Curti, Jean Rollin, in Il rasoio e la luna, Cit., p.25.

giovedì 12 maggio 2016

RAGAZZE IN AMORE di Michele Tosolini



Nella filmografia di Jean Rollin incontriamo non solo la presenza di filoni portanti (le sue vampire nude, i peculiari morti viventi, il cinema hardcore), notiamo un certo scambio tra questi. Se il cinema delle vampire ha come tematica forte quella sessuale (preferibilmente saffico o orgiastico), tutti i suoi film, a parte e solo in parte la produzione hardcore, nascono da un rapporto tra Eros e Thanathos, dove spesso entrambi convivono, ma altre volte prevale nettamente uno sull'altro. Oltre alla produzione dichiaratamente porno dell'autore, Rollin si dimostra anche più pacato con film erotici o softcore come Les Trattoirs de Bankock (1984), o nelle collaborazioni con Jesus Franco (Emmanuelle 6 del 1988,e A la poursuite de Barbara del 1991). Nel 1993 dirige persino una sorta di thriller, Killing Car, nel 1985 una commedia titolata Ne prends pas les poulets pour des pigeons, mentre lo troviamo disinvolto anche in un prodotto televisivo basato sulle avventure del detective Harry Dickson (La griffe d'Horus, 1990).
Uno dei film più interessanti della produzione meno conosciuta di Jean Rollin è Ragazza in amore (La nuit des traquées, 1980). Il tema della morte qui è presente soprattutto legata al ricordo, tuttavia in questa pellicola non incontriamo morti viventi o vampire porno in cimiteri abbandonati o all'interno di rovine di castelli diroccati. La sessualità è centrale anche in questa pellicola, ma in un modo differente da tutti gli altri film del regista francese. La tematica centrale del film è un tema caro al surrealismo: la memoria umana.
Girato in nove giorni con il budget di un porno,1 il film ci introduce in atmosfere rarefatte, spesso torbide, che accompagnano vicende, come di consueto, che si intrecciano tra il reale e l’onirico. Il cast di Ragazza in amore è variegato: Rollin chiama alcuni attori conosciuti sui set hardcore mescolandoli con altri provenienti da esperienze, seppur in ruoli minori, in film della Nouvelle Vague. Se Les Raisins de la mort è fortemente connesso al cinema degli zombi di George Romero, Ragazza in amore si ispira ai primi lavori del regista canadese David Cronenberg. L’atmosfera clinica e fredda, l’irreale che sconfina nella realtà, la dimensione psichica della vicenda e la forte connotazione sessuale della malattia mentale della protagonista rimandano immediatamente lo spettatore ai capolavori del primo Cronenberg come Il demone sotto la pelle (Shivers, 1975) e a Rabid, sete di sangue (Rabid, 1977).2
Una notte, Robert incontra una ragazza, Elisabeth (Brigitte Lahaie) che sembra aver perduto la memoria. I due si innamorano appassionatamente e lei spiega in maniera romantica e tragica la sua situazione: “Noi apparteniamo a questo mondo. L’unico mondo esistente. Il mondo del momento presente”. Elisabeth, infatti, non ricorda nulla del suo passato, della sua storia, perché la sua mente trattiene solo l’attimo del momento presente: “Tu – dice a Robert – sei l’unico ricordo che adesso ho”. Il romanticismo cede il passo alla drammaticità della condizione in cui se Robert non è presente a Elisabeth, lei lo dimentica.
Elisabeth viene ritrovata dal suo dottore che la riporta in una clinica psichiatrica. Robert cerca una via di fuga, ma i tentativi risultano vani proprio a causa del problema che affligge Elisabeth. La sua condizione, tuttavia, non è unica e non deriva da cause psicologiche: tutti i pazienti della clinica sono affetti dalla perdita cronica della memoria regressiva, a causa di un avvelenamento da radiazioni. La vicenda, sul finale acquista pathos e drammaticità: il governo, di fronte a un possibile scandalo sulle radiazioni insabbia la vicenda, così ché la storia di Elisabeth e Robert venga dimenticata.
Il tema della sessualità, come di consueto nel cinema di Rollin, è molto forte e connesso a quello della memoria. Non solo la fotografia in tutto il film sembra accanirsi sul corpo nudo di Elisabeth e delle altre detenute della clinica, ma l’esperienza sessuale di chi soffre del disagio di Elisabeth riassume la sua condizione drammatica dell’esserci nell’istante, e del dimenticare poi quell’esperienza ritrovando nella successiva una nuova verginità: “tutto quello che il mio corpo ha fatto prima – afferma Elisabeth – è stato dimenticato. I detenuti si aggrappano proprio all’esperienza sessuale come simbolo di vita e di come la propria vita e il proprio mondo stanno rapidamente evaporando.


1 Esiste una versione hardcore della pellicola, titolata Les filles des traquees.
2 L'influenza di cronenberghiana in Ragazza in amore è stata messa in luce da Scott Grantham in Video Watchdog 53, settembre-ottobre 1999.

lunedì 9 maggio 2016

LA MORTE VIVANTE di Gian Luca Castoldi




La morte vivante segna il secondo ritorno al cinema fantastico dopo la lunga parentesi hard-core fatta esclusivamente per ragioni alimentari da Rollin. A dir la verità nel frattempo c’era stata l’anomalia di Le lac des morts vivants,1 un film nato da un progetto che non gli apparteneva e al quale era subentrato per sostituire Jess Franco impossibilitato a portarlo a termine e il disastro di Les Echappees (1981)2 che non è stato mai proiettato al cinema ed è uscito direttamente in video. Qui il tema di fondo del film non è la vita dopo la morte, il vampirismo, la violenza grafica delle immagine. Ciò su cui è invece basato il film è il ricordo, quel senso di malinconica nostalgia per il tempo passato che permea il film. Sarebbe esagerato forse parlare di influenze proustiane, di antico sapore delle “madelaine” in quella stanza dove Catherine ritrova i ricordi della sua fanciullezza, ma quell’aria di malinconia, di struggimento che permea il film pare che abbia origine in quelle nobili matrici letterarie.
Mentre stanno occultando dei fusti contenenti dei rifiuti altamente tossici all’interno di un edificio abbandonato, tre uomini sono aggrediti e uccisi da una donna risvegliatasi dalla morte a causa dei liquami fuoriusciti da uno dei bidoni. La ragazza è Catherine, morta pochi anni prima e ancora conservatasi perfettamente seppur non in grado di parlare e con un passo caracollante e incerto. Arrivata alla casa della sua fanciullezza, ora abbandonata e in cerca di affittuari, ritrova i ricordi del suo passato, i giocattoli, le bambole, le foto, le cose che le appartenevano e che la fanno tornare al tempo della sua giovinezza. Insieme a queste cose, torna fortissimo anche il ricordo della sua amica Helene che si precipita a casa di lei dopo aver sentito la musica dell’antico carillon che ascoltavano insieme. Arrivata al castello trova i cadaveri delle vittime di Helene che è animata dalla necessità di fare tutto per la sua amica, anche procurare vittime uccidere per permettere ad Elizabeth di continuare a sopravvivere. Helene cerca di capire cosa le sia successo ma non esistono spiegazioni plausibili, Catherine è tornata a vivere un simulacro di vita che ha bisogno di “nutrirsi” di altri corpi per poter andare avanti, l’unica persona che rispetta è Helene, in pegno dell’amicizia che le lega da anni e che fu suggellata da un patto di sangue quando erano bambine. Catherine non vuole però continuare a vivere nonostante Helene le procuri le vittime da immolare, e chiede all’amica di lasciarla morire ma Helene non riuscirà a mantenere la promessa e si fa mordere, succhiare il sangue fino a morirne dalla “morta vivente”.
E’ uno dei film più graficamente splatter di Jean Rollin ma anche tra quelli più romantici in senso assoluto. L’amore che lega le due donne però non ha un origine o un carattere sessuale, al contrario sembra che ci sia una vera amicizia che si mantiene e si fortifica nel tempo e nello spazio, nella vita e nella morte. La sofferenza di Elizabeth che si tuffa nella malinconia dei ricordi cercando un simulacro di vitalità che non non le fa accettare la sua situazione presente e la spinge a chiedere all’amica di sempre di porre fine alle sue sofferenze in ricordo della grande amicizia si sacrifica per lei.


Come in Fascination, la lussuria è più forte dellamore e la morte trionfa e la Blanchard prosciuga i suoi amici.3

Anche per La morte vivante è la memoria che mi interessa. La ragazza torna in vita e ora abita nel suo antico castello, nella sua stessa stanza, e ritrova i balocchi della sua fanciullezza e altri ricordi che riaffiorano uno ad uno. Emolto emozionante, molto drammatico. E questa è per me la parte più emozionante del film. I ricordi delle due ragazze, il carillon. E alla fine, prima che una ragazza uccida e mangi laltra, si ricorda di quando furono entrambi fanciulle insieme. Il massacro è una sorta di scena damore4

Ho girato solo due film con la presenza del Gore: La raisins de la mort e La morte vivante.5

I produttori volevano unaltra storia di zombie. Io gli ho girato intorno e ho trasformato i morti viventi in una specie di donna vampiro (…) includendo anche il tema del ricordo della fanciullezza che avevo già utilizzato precedentemente (per esempio in Levres de sang). (…) La relazione tra le due antiche amiche di gioventù è piena di tenerezza così come le parole che si scandiscono nella scena finale. Francoise Blanchard aveva interiorizzato perfettamente il suo ruolo e recitato con grande convinzione. Marina Pierro è spesso intensa e drammatica. Nel film recitarono anche alcuni amici miei: Alain Petit, Jean-Pierre BouyxouIl furto di cadaveri iniziale era ispirato a Frankenstein contro luomo lupo, un film che mi dette grandi emozioni quando ero un bambino. Epiù un tributo che un plagio, come quella con Brigitte Lahaie e il cane, un omaggio a La maschera del demonio di Mario Bava. (…) Fondamentale nella scena quando la ragazza morta torna nella sua camera di quando era una bambina, è la musica di Philippe DAram che fonde magnificamente i ricordi della fanciullezza perduta con quella della gioventù perduta. (…)
Il giovane Benoit Lestaing e i suoi ragazzi si occuparono degli effetti Gore. Quello fu il suo primo vero lavoro professionale. (…) La scena del pipistrello insanguinato fu girata casualmente per via che lanimale entrò in scena e si macchiò del sangue che veniva schizzato da tutte le parti. (…) A causa di quella scena, si potrebbe dire che La morte vivante è una specie di film di vampiri. (…) I problemi sorsero dopo la fine delle riprese quando il co-produttore se la filò lasciandomi con i conti dei professionali da pagare. Poi andò in bancarotta e io rimasi con tutte le fatture da pagare. Ci ho messo anni per saldare tutti i debiti. (…). La morte vivante ricevette il Premio Speciale del Pubblico al Fantafestival di Roma.6

Andai a Roma ad incontrare Theresa (Ann Savoy N.d.R.). La prima volta che ci incontrammo nellufficio del suo agente, lei mi disse che in nessuna circostanza avrebbe mai lavorato con me. (…)Rimasi molto amareggiato perché sarebbe stato un sogno fare un film con lei. (…) Per il suo ruolo prendemmo allora Francoise Blanchard. Le riprese furono durissime per Francoise tanto che collassò durante la scena finale. (…). Quando arrivò il medico di campagna e la trovò svenuta, seminuda e coperta di sangue voleva chiamare la polizia. (…). Laltra protagonista era Marina Pierro (…). Fu piacevole lavorare con lei anche se era molto vanitosa e preoccupata solamente di come veniva ripresa. (…).
Ci sono molte cose buone nel film. Ovviamente ci furono alcune compromessi commerciali, lidea dellinquinamento chimico non era proprio il massimo. (…) Dal punto di vista dellincasso resta comunque il mio maggior successo e vinse il Premio del Pubblico al Fantafestival di Roma.7





1 Conosciuto anche come Zombie Lake.
2 Conosciuto anche come Les paumées du petit matin.
3 Phil Hardy, The Aurum Film Encyclopedia, Cit.
4 Intervista a J. Rollin a cura di Andy Black in Necronomicon, Cit.
5 Andrea Capizzi, Jean Rollin, Cit.
6 Jean Rollin, Virgins & Vampires, Cit.
7 Intervista a Peter Blumenstock, Maggio 1995, in Jean Rollin, Virgins & Vampires, Cit.

lunedì 4 aprile 2016

FASCINATION di Gian Luca Castoldi

 


Grazie ad alcuni porno girati tra il 1975 e il 1978 (12 film da Douces penetrations a Disco Sex) Rollin potè tornare a dirigere film fantastici e dopo Les Raisins de la mort firma nel 1979 Fascination nel quale riutilizza anche alcune attrici (Brigitte Lahaie e Myriam Watteau) che avevano lavorato con lui negli hard.
Un grammofono accompagna la danza di due giovani donne lungo un pontile disteso su un piccolo lago artificiale. Due donne, apparentemente appartenenti all’alta borghesia, sono accompagnate da un medico in un mattatoio per bere un bicchiere di sangue (nellaprile del 1905 la migliore cura per lanemia). Mark (Jean-Marie Lemaire), un piccolo ladro che ha cercato di truffare i suoi complici si nasconde all’interno di un castello apparentemente abbandonato. Mentre è assediato dai membri della banda, incontra tra le mura Elizabeth (Franca Mai) ed Eva (Brigitte Lahaie), due strane e meravigliose ragazze legate tra loro da un ambiguo rapporto, che vigilano il castello in attesa che torni la Marchesa (Myriam Watteau), la loro padrona. Dopo breve tempo, Mark cede alle lusinghe delle ragazze e fa l’amore con Elizabeth mentre Eva, armata di una lunga falce, uccide tutti i suoi inseguitori sulle sponde del laghetto che circonda il castello. Elizabeth si innamora di Mark il quale però ride dei suoi sentimenti e la tratta come una sciocca sentimentale. Quella stessa notte giunge al castello la Marchesa, assieme alle altre donne appartenenti alla congrega che avvisano Mark che non sopravviverà a quella notte. Forte della sua pistola, l’uomo non prende sul serio le minacce ma si dovrà ben presto ricredere quando Eva sta per ucciderlo, sarà Elizabeth a salvarlo sacrificando l’amica di sempre al suo amore. Nonostante l’amore che prova per l’uomo, Elizabeth però farà olocausto di Mark, ferendolo a morte prima di lasciarlo alle bocche avide di sangue delle altre donne. La frase che chiude la pellicola è quella più altamente simbolica che rappresenta appieno la filosofia alla base del film, sussurrata dalla Marchesa a Elizabeth: Come sei bella con il sangue sulle labbra, mirabile sintesi di un film fantastico ed erotico ad un tempo, che parla di vampiri senza nominare i vampiri, che parla di amore sfiorando il tema evitando l’eccessivo sentimentalismo. La cura nell’abbigliamento, nei decori, nell’ambientazione, se vogliamo anche nella recitazione, che Rollin dedica a questo film sono unici, una location dal fascino cupo e malinconico, il castello che memore di un antico splendore, riflette la mai sopita decadenza attraverso l’ozioso attendere che pervade le sua mura, attesa della resa dei conti con i malviventi, attesa che sbocci un amore impossibile, attesa che torni la Marchesa. La lucida fotografia di Jean-Francois Gatè armonizza il tutto togliendo spessore ai colori ma donando un senso di oblio senza pari.

La parte decisamente migliore della pellicola è quello visuale: la cinepresa accarezza sensualmente i corpi della coppia lesbica sdraiata su un letto di pelliccia, la fine vestaglia color malva delle donne della congrega che fluttua nel vento e la pallida luna piena che si riflette nel lago illuminando il nudo corpo dissanguato che galleggia nelle placide acque.1

La mia idea allinizio era di dare a Brigitte Lahaie un vestito di inizio Novecento e di fare un film praticamente tutto allinterno di un castello. La prima scena della sceneggiatura era quella delle due ragazze che bevevano sangue nel mattatoio. Il resto è una mia idea partendo da quello spunto: tutto il film girato in un castello e al massimo tre personaggi nella maggior parte delle scene. E Brigitte allinterno di un castello vestita con un abito del primo Novecento.2

Il mio coproduttore voleva fare un film piccolo, erotico e economico. Io gli suggerì che potevamo fare un vero film fantastico spendendo gli stessi soldi. Io mi sarei reso responsabile di tutti i costi extra […]. Girammo in due settimane noleggiando i costumi o facendoli fare a Natalie Perrey […]. Brigitte Lahaie non è mai stata così bella indossando quei costumi. Dopo tanti anni quello era il suo primo ruolo importante in un film non pornografico. Grazie allo stupendo lavoro fatto dal truccatore Eric Pierre e alla fiducia in se stessa che riuscì ad avere passò magnificamente il suo primo test da vera attrice […]. Trovo che la scena iniziale delle due ragazze che ballano sul ponte levatoio al suono del vecchio grammofono, una delle più strane che ho mai girato […]. Il film non andò bene a Parigi ma fu apprezzato dalla critica e ricevette unottima accoglienza a diversi festival. […]. Il finale del film si ricollega allinizio: il ponte serve ancora una volta come punto dincontro per le due assassine e le loro complici.3

Il titolo è lambientazione generale è un omaggio ad una rivista francese dallo stesso nome, dedicata a tutte le forme artistiche legate allerotismo pubblicata dal mio amico Jean-Pierre Bouxyou […]. Il film era vagamente tratto dal racconto Une Verre de sang di Jean Lorrain che mi fece sapere che allinizio del Novecento le classi abbienti curava lanemia bevendo sangue. Mi piace molto Fascination. Emolto vicino alla mia visione della vita, romantica eppure selvaggia contemporaneamente. Ha unatmosfera veramente enigmatica e rapace e delle immagini bellissime, tra tutte quella di Brigitte Lahaie che brandisce la falce nella scena iniziale nel mattatoio.4





1 Phil Hardy, The Aurum Film Encyclopedia, Aurum Press, London, 1984, 1993.
2 Intervista a J. Rollin a cura di Andy Black in Necronomicon, the Journal of Horror and Erotic Cinema, Cit.
3 Jean Rollin, Virgins & Vampires, Cit.
4 Intervista a Peter Blumenstock, Maggio 1995, in Jean Rollin, Virgins & Vampires, Cit.

martedì 8 marzo 2016

LEVRES DE SANG di Francesca Lenzi







L’uomo cammina con sicurezza tra le rovine, ora nascoste nell’oscurità, ora dipinte di blu, quasi mosse da spirito vitale, attraverso la roccia nuda. Eccolo, il ponte, e lì, sugli scalini, il giocattolo. La vista improvvisa della vampira lo fa trasalire, appena prima della rapida fuga. Ovunque volga lo sguardo, o diriga la posizione, le quattro figure femminili, simili a fantasmi, sembrano anticipare ogni sua decisione.
Lèvres de sang, pellicola del 1974 di Jean Rollin, rappresenta, secondo un parere pressoché concorde, uno dei titoli migliori all’interno della filmografia del prolifico regista francese. La descrizione sopra citata ritrae probabilmente gli elementi più espliciti dell’elaborazione intellettuale di Rollin, sensibilmente affascinato dal tema del vampirismo e dalla caratterizzazione pittorica del contesto ambientale.
Sarà utile iniziare l’analisi testuale dallo studio delle componenti principali di un film: il colore, lo spazio, il sonoro.
Dal punto di vista dell’immagine, essa trova sicura corrispondenza con l’attenzione maggiore di Rollin, poco incline a perdere tempo con la stesura di una sceneggiatura coerente e verosimile, in favore dell’interesse quasi totale nei confronti dell’atmosfera da sviluppare, in termini indipendenti dalla logica, piuttosto fortemente legata alla sfera delle sensazioni. La resa visiva coincide con la rinuncia alla rielaborazione realistica, appena accennata in brevi circostanze, ma presto mortificata per lasciare ampia possibilità di espressione al clima onirico che domina il racconto.
Sono in effetti pochi i momenti riconducibili alla realtà ordinaria (il party iniziale, lo studio della fotografa, il dialogo con la madre), in ogni caso sempre compromessa da impressioni ambigue o da segnali inquietanti.
Rollin consegna al colore il compito di assecondare la propria idea di figurazione fantastica, pitturando lo schermo con scelte cromatiche affini alla memoria oggettiva, eppure modificate attraverso alterazioni ingannevoli, talvolta impercettibili. La rappresentazione delle rovine è ideale in questo senso: la pietra emerge dall’oscurità, improvvisamente, rilasciando porzioni di roccia, tinteggiate di un cobalto, tanto suggestivo, quanto irreale. E proprio il blu costituisce la tonalità che Rollin affida al sogno, dimensione inafferrabile, difficilmente distinguibile dalla verità; mentre la notte garantisce la condizione visiva affinché tale ambito allucinatorio abbia i necessari requisiti per manifestarsi.
Gli ambienti presenti nel film sostengono questa situazione, esplicitando più incisivamente il quadro illusorio attraverso gli spazi aperti. Oltre alle rovine, forse già dotate di respiro fiabesco per la configurazione strettamente connessa alla natura circostante, i contesti urbani, ipoteticamente consueti, diventano sfondo simbolico della concezione della messa in scena di Rollin. Quando il protagonista segue la misteriosa donna dal volto dipinto, le strade sono deserte, i palazzi ingrigiti e spenti non sembrano nascondere presenza umana, le rare e pallide luci dei lampioni non assolvono certo alla funzione originaria. Nella sequenza dell’aggressione da parte dell’uomo della metropolitana, lo spazio, nella propria immensità, sottolinea impietosamente il ruolo irrilevante e solitario della persona, intesa come impercettibile entità all’interno di una tela metafisica di piatte quinte teatrali.
La spiaggia, luogo che ricorre nella filmografia di Rollin, chiude sia testualmente che simbolicamente la storia. Il paesaggio livido, l’acqua di color pervinca, confondendosi con il cielo, accompagnano la bara di legno in mare aperto, accogliendo idealmente l’ammissibilità del sogno, al tempo stesso rivelato e avverabile.
Si è così investiti dalla particolarità delle immagini e delle ambientazioni che la componente sonora pare quasi trascurabile. In effetti, il suono è l’elemento più debole, meno presente, ma in modo consapevole. Rollin consegna l’azione di intervento sul pubblico alla vista, tralasciando volutamente di rimettere un peso maggiore all’acustica; questo, in ordine sempre dell’atmosfera onirica che investe il film: il sogno è fatto di forme, lineamenti, icone, mai di rumore, musica, voce.
Gli unici interventi sonori sono i dialoghi (la parte più fragile della pellicola), la musica, anche piuttosto banale che accompagna le situazioni, i rumori intradiegetici, soprattutto il vento e l’acqua.
Sarà opportuno esprimere un commento anche sulla figura del vampiro. Lèvres de sang mostra giovani donne vampire, che hanno molto poco di terrorizzante, a favore di una fisicità sensuale e inquietante. I corpi, fasciati, spesso scoperti, da evanescenti vesti, la nudità esposta, la silenziosa quanto occultata spietatezza non indicano brutalità e ferocia, bensì enigmaticità ed erotismo, a tratti persino irritante. Più interessante si rivela la decisione cosciente del protagonista e l’operazione di contagio, simbolicamente trasmesso tramite via sessuale, in termini comunque affatto carnali, ma decisamente languidi, al limite del sentimentalismo.
Le aggressioni da parte delle vampire proseguono la linea dello spiritualismo. Gli omicidi sono rapidi, le grida delle vittime appena accennate, quindi immediatamente strozzate. Gli effetti della morte non sono visibili, se non attraverso un rivolo di sangue, che fuoriesce dalla bocca o dalla ferita, quale sorta di arabesco artistico, allegoricamente associato al vampirismo. I delitti si presentano come manifestazioni speculari della concezione immateriale che sta alla base dello stesso trascendente profilo del vampiro.
Lèvres de sang è prodotto di un cinema che guarda al surrealismo come ad una dottrina alla quale riferire le proprie tendenze: sessualità, inconscio, confusione tra sogno e veglia, amore folle, sono tutti elementi che si riconoscono all’opera di Rollin, così come ad altri registi, più conosciuti e di valore senza dubbio maggiore. La memoria manipolata di Cronenberg; la desolante, inconcepibile bellezza degli scenari, e l’oscura indeterminatezza di Lynch; il colore come metafora visiva, e l’illusione inventiva di Argento, rappresentano illustri esempi che si stenta a reprimere durante la visione di Lèvres de sang, ritratto automatico, nato dal primo, essenziale, impulso di Rollin: il sogno.